Le tante motivazioni tirate in ballo per giustificare gli insuccessi, sin dall’inizio del torneo, non cancellano la sostanza di una classifica fallimentare.
Che siano recriminazioni più o meno giuste, c’è una verità indubbia dopo il match pareggiato contro la Rossanese: se il Messina avesse un punto in più in classifica per ogni alibi accampato in questo campionato, sarebbe già matematicamente promosso. Così, quella che nei piani sbandierati dalla società doveva essere una marcia trionfale, lentamente sta diventando una sorta di litania (speriamo non funebre…). C’è sempre un torto, una scusa, un motivo, adesso addirittura un complotto dietro ogni gara fallita. Partite che, tra l’altro, di domenica in domenica diventano quasi costantemente “il momento della possibile svolta”. Viaggiamo con la freccia accesa dall’inizio del torneo, eppure continuiamo ad andare diritto, rimanendo incolonnati dietro una miriade di squadre. Per spiegarlo ai tifosi c’è costantemente un perché, una variabile interveniente ovviamente estranea a fattori strettamente tecnici da tirare in ballo. In principio, fu la mancanza di preparazione a fare da colonna sonora ai deludenti risultati. Poi, fu il turno della pausa forzata, legata ai rinvii causati dall’alluvione: siamo rimasti fermi troppo tempo – fu detto – ora è difficile riprendere il ritmo. Quindi, fu la volta del ritardo nel pagamento degli stipendi, dei difetti strutturali nella costruzione della rosa, della necessità di adattamento dopo i cambi di allenatore. Capitolo a parte riguarda gli arbitri: ci avranno pure penalizzato, ma partiamo dal presupposto che un direttore di gara in Serie D è un arbitro di... Serie D. Semplicemente più avvezzo all’errore, rispetto a colleghi con maggiore esperienza (così come i calciatori, d’altronde). Stesso discorso riguarda le condizioni dei terreni di gioco, altro fattore abbastanza gettonato a corredo di sconfitte o “pareggini”: per giocare su tavoli da biliardo, salire di categoria, please! A fine dicembre, una schiarita: allenatore, calciatori, condizione atletica, stipendi: tutto pronto per iniziare la scalata. Macché, un mese dopo abbiamo sentito pure le giustificazioni per… una vittoria (nel dopo Castrovillari)! E, allora, via il cuoco, l’addetto stampa, il responsabile della foresteria. Tutto a posto, tutto risolto, adesso sì che si può osare: magari erano loro le vere palle al piede… Morale della favola, con alle spalle 20 giornate di quello che si sta rivelando il campionato più mediocre degli ultimi anni, siamo sempre lì. Ingolfati come automobilisti all’ora di punta, mentre altri sfrecciano su corsie preferenziali e riescono a recuperare il terreno perduto. L’Acr sembra un giocatore al tavolo di poker, pronta a sbancare la concorrenza ma in attesa di una scala reale che non arriva mai (ma, forse, basterebbe pure un misero tris…). E, nel frattempo, continua a passare la mano e a promettere: domani è un altro giorno, vedrete che questa sarà la volta buona, seguiteci e abbiate fede, gli altri barano ma noi non molliamo. Già, barano semplicemente perché sono più forti. Non solo rispetto al Messina, ma in confronto a tutto. Un campionato di Serie D – lo abbiamo già detto – non si vince, si stravince. Proprio perché a inizio stagione si mettono in preventivo tutte le difficoltà. Si costruisce una squadra in grado di dominare in lungo e in largo, per cui se anche non ti danno un rigore, te ne freghi visto che hai già fatto tre gol. Se una formazione del genere non c’è – evento raro – allora emergono i cosiddetti uomini di categoria: quelli che sono capaci di vivere alla giornata, di improvvisare per aggirare gli ostacoli imprevisti. C’è il campo allagato? Palla lunga e pedalare. C’è un avversario forte? Via il fioretto e iniziamo a menare. C’è un vuoto in organico? Lo riempie il giocatore con maggiore esperienza. L’arbitro va in confusione? Trasformiamo la partita in bagarre. Ma si tratta di scommesse tecniche utili, soprattutto, a non retrocedere, improponibili in una piazza come Messina, poiché difficilmente riscuotono successo in chiave promozione. Quest’anno è accaduto (basti pensare alle due matricole in cima alla classifica), difficilmente l’anno venturo si ripeterà. I tifosi giallorossi, invece, si ritrovano in mano una squadra troppo debole per ammazzare il torneo e che si sente troppo forte per reggere il confronto con le malizie altrui. Come spiegarglielo? Accampando una scusa per volta, perché il piatto piange, la scala reale continua a non entrare e anche del misero tris non c’è traccia...
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